“La fotografia non cambia il mondo, ma può aiutarci a guardarlo meglio.” Thurston Hopkins

Godfrey Thurston Hopkins, nato a South London nel 1913 e cresciuto a Sleaford nel Sussex, iniziò gli studi al Brighton College of Art dove frequentò i corsi di arte grafica e di fotografia. Le foto che scattò in quel periodo furono usate per illustrare alcuni libri del padre Robert Thurston Hopkins, che oltre ad essere un cassiere bancario era anche un prolifico autore di lavori tipografici, storie di fantasmi e biografie di scrittori come Oscar Wilde e Rudyard Kipling.

Thurston Hopkins presto abbandonò il disegno per abbracciare la fotografia, affascinato dal potere narrativo delle immagini. Infatti, lasciato il college, trovò lavoro come artista grafico ed in seguito entrò a far parte dell’agenzia di stampa Photo Press. Durante la seconda guerra mondiale lavorò con l’Unità Fotografica RAF (Royal Air Force), esperienza che affinò il suo occhio e la sua capacità di cogliere l’attimo.

Dopo il conflitto, Hopkins viaggiò attraverso l’Europa facendo l’autostop e scattando fotografie con la macchina fotografica Leica che aveva acquistato durante la guerra e che lo accompagnò per il resto della sua carriera. Scelse di orientarsi verso il fotogiornalismo e il reportage, affermandosi rapidamente come uno degli occhi più acuti della società inglese dell’epoca.

Tornato in Inghilterra Thurston Hopkins lavorò per Camera Press, l’agenzia fondata a Londra nel 1947 da Tom Blau. Ma la sua ambizione, già da un pò di tempo, era quella di lavorare per il magazine Picture Post, fondato nel 1938, che in quel periodo era il giornale britannico più famoso (vendeva milioni di copie) ed innovativo. Per il Picture Post lavoravano, tra gli altri, Bert Hardy, Kurt Hutton, Humphrey Spender, Leonard McCombe, John Chillingworth e Bill Brandt.


Così nel 1950 Thurston Hopkins entrò a far parte dello staff del leggendario settimanale britannico Picture Post e da allora lavorò come freelancer esclusivamente per questo magazine. Questo giornale rappresentava l’avanguardia del reportage visivo, e per Hopkins fu il palcoscenico perfetto. Lavorando a stretto contatto con scrittori e redattori, contribuì a definire lo stile umano ed empatico della rivista. I suoi servizi raccontavano la quotidianità degli inglesi con rispetto e ironia, affrontando temi sociali con occhio critico ma sempre partecipe.

L’apice della carriera di Thurston Hopkins coincide proprio con il suo periodo di collaborazione con il settimanale Picture Post. Già nel 1950, le sue fotografie cominciarono a comparire regolarmente sulla rivista, documentando con rigore e poesia le trasformazioni sociali e culturali del Regno Unito. In un contesto segnato dalla ricostruzione post-bellica e da profondi cambiamenti sociali, Hopkins si distinse per la sua capacità di cogliere l’umanità nei dettagli più ordinari, elevando il quotidiano a soggetto fotografico d’elezione.

Lo stile fotografico di Thurston Hopkins si contraddistingue per la chiarezza compositiva, l’attenzione alla luce naturale e una forte componente narrativa. Preferiva lavorare con macchine fotografiche leggere, come la Leica, che gli permettevano una maggiore discrezione e spontaneità nel catturare i soggetti. La sua tecnica si basava sull’osservazione paziente e sull’integrazione del fotografo nell’ambiente, piuttosto che su pose costruite o su un’estetica formale rigida.

Particolarmente interessante è il suo modo di trattare i soggetti umani: Thurston Hopkins cercava di costruire un rapporto empatico, entrando in sintonia con le persone ritratte. Questo atteggiamento si traduceva in immagini che comunicano autenticità e vicinanza emotiva, anche quando il contesto ritratto era segnato da povertà o marginalità. La sua etica del rispetto verso i soggetti è considerata ancora oggi un modello nel fotogiornalismo.


Lo stile di Thurston Hopkins era inconfondibile: prediligeva il bianco e nero, utilizzava spesso la luce naturale, e sapeva attendere con pazienza il momento giusto. Non forzava mai la scena, ma lasciava che fosse la realtà a parlare. Era un osservatore silenzioso, capace di muoversi tra la gente con discrezione e rispetto. Le sue immagini evitano il sensazionalismo e trasmettono invece una profonda empatia verso i soggetti. Questa delicatezza formale e umana è ciò che rende il suo lavoro ancora oggi attuale e toccante.
“Il bianco e nero non è solo estetica, è essenzialità. Ti costringe a guardare l’anima dell’immagine.” – Thurston Hopkins

Ricordiamo alcuni dei Reportage che Thurston Hopkins realizzò per il magazine Picture Post negli anni 1950, ed ebbero molto successo. Uno dei primi fu “Cats of London” (1951) un servizio poetico e quasi favolistico sui gatti della capitale, sia quelli randagi che quelli domestici. In questo caso, pur trattando un tema apparentemente leggero, riuscì a costruire un affresco urbano dal tono quasi sociologico. Le immagini, scattate con estrema cura per la composizione e la luce, colpivano per la loro delicatezza e per la capacità di trasformare un soggetto semplice in una narrazione toccante.



Nel 1954 fu pubblicato il reportage “ Children of the Streets” sui bambini che giocavano nelle strade di Londra. In particolare si concentrò sui bambini sfollati nelle periferie londinesi del dopoguerra. I bambini ritratti da Hopkins non sono mai ridotti a stereotipi: emergono invece come individui pieni di vita e personalità, nonostante la povertà e le difficoltà. Hopkins adottò un approccio narrativo in grado di suscitare empatia senza indulgere nel sentimentalismo.






Nel 1955 Thurston Hopkins realizzò il reportage “ A British Colour Conflict”, un servizio sull’immigrazione di persone di colore, soprattutto provenienti dalle ex colonie inglesi; sui conflitti e le problematiche che portava la loro integrazione nella società inglese. In questi anni oltre ai servizi fotografici per il Picture post Hopkins realizzava immagini per postcard, poster commerciali e calendari.





Il reportage “ Liverpool Slum ” del 1956 divenne molto celebre, tanto che gli amministratori della città protestarono con il giornale perchè il suo servizio fotografico dava un’immagine negativa della metropoli. Il servizio fotografico sui ghetti (slums) di Liverpool fu una potente testimonianza visiva delle condizioni di vita nei quartieri più degradati della città nel dopoguerra.


Attraverso il suo obiettivo, Hopkins documenta la miseria quotidiana di famiglie ammassate in case fatiscenti, prive dei servizi essenziali. Le immagini, intense e umanamente coinvolgenti, mostrano bambini che giocano tra le macerie, madri affaticate e ambienti domestici segnati dall’umidità e dalla povertà. Il contrasto tra la vivacità delle persone e il degrado urbano crea un impatto emotivo fortissimo. Hopkins non si limita a osservare, ma denuncia silenziosamente un fallimento sociale. Il suo lavoro richiama l’attenzione pubblica sull’urgenza di riforme abitative.


La scelta di Hopkins di utilizzare un bianco e nero crudo e diretto rafforza l’immediatezza del suo messaggio. Le sue fotografie non sono solo documenti storici: sono accuse silenziose che parlano ancora oggi, ricordandoci quanto la dignità umana possa essere messa alla prova dalle condizioni materiali. L’occhio del fotografo, sempre rispettoso, riesce a restituire un senso di resilienza nelle persone ritratte, senza cadere nella pietà facile.


Liverpool Slums rappresenta uno dei momenti più significativi del fotogiornalismo britannico del dopoguerra. L’opera di Hopkins, oltre alla sua forza estetica, ha avuto un impatto concreto sul dibattito politico dell’epoca, contribuendo alla presa di coscienza sull’emergenza abitativa. Un esempio raro di come la fotografia possa farsi strumento attivo di cambiamento.


Nella redazione del Picture Post Hopkins incontrò la fotografa Grace Robertson, che lavorava con lo pseudonimo di Dick Muir. e i due si sposarono nel 1955. Il loro fu un legame molto forte e duraturo, essi non condividevano solo la passione per la fotografia, ma anche uno stile di vita incentrato sull’arte e sull’osservazione della realtà sociale. La loro casa divenne un punto di incontro per intellettuali e artisti, e un luogo di riflessione sulla funzione culturale della fotografia documentaria.

Nel corso degli anni Cinquanta, mentre Picture Post attraversava un lento declino, Hopkins continuò a produrre servizi di alta qualità, viaggiando anche all’estero. Documentò, tra gli altri, la vita nei quartieri popolari di Parigi, la quotidianità in Spagna, viaggiò in Italia, Africa e fino in Australia per realizzare i suoi reportage. Tuttavia, con la chiusura del Picture Post nel 1957, la sua carriera di fotoreporter entrò in una nuova fase. Hopkins aprì uno studio di fotografia a Chiswick, dove si occupava soprattutto di pubblicità e fotografia commerciale.

Successivamente tenne corsi di Fotografia alla Guildford School of Art e svolse un ruolo attivo nella preservazione e valorizzazione dell’archivio fotografico del dopoguerra britannico. Finchè non si ritirò in campagna dove tornò ad interessarsi di arti grafiche e pittura. Negli anni successivi, Hopkins fu progressivamente riscoperto dalla critica e ricevette numerosi riconoscimenti per il suo contributo alla fotografia britannica. Il suo lavoro cominciò a essere esposto in gallerie e musei.


Thurston Hopkins si spense nel 2014, all’età di 101 anni, lasciando dietro di sé un archivio vastissimo e una lezione ancora attuale per chi si avvicina alla fotografia documentaria. Il suo modo di fotografare, fatto di rispetto, attenzione e sensibilità, rappresenta un modello etico oltre che artistico. Retrospettive e mostre monografiche hanno contribuito a mantenerne viva la memoria anche presso le nuove generazioni di fotografi e studiosi.


La maggior parte delle fotografie scattate da Hopkins per il Picture Post fanno parte della collezione Getty Images. Le sue fotografie sono oggi conservate in importanti collezioni come quella del Victoria and Albert Museum e e il National Media Museum. Dagli anni Settanta fino agli inizi del 2000 si sono tenute diverse mostre delle sue fotografie come quella del 2003/4 a Londra dal titolo “The Golden Age of Reportage: Thurston Hopkins, Getty Images Gallery” e quella del 2005 a New York dal titolo “A Song of the British: Thurston Hopkins, Leica Gallery “.

In un’epoca dominata dall’immagine veloce e dalla sovraesposizione mediatica, riscoprire il suo approccio lento e consapevole è un invito alla riflessione. Le sue fotografie ci parlano ancora, con discrezione, delle infinite sfumature dell’animo umano. La sua opera continua a rappresentare un punto di riferimento fondamentale per comprendere non solo la storia del fotogiornalismo britannico, ma anche l’evoluzione dello sguardo documentario nella società moderna.

In particolare, l’attenzione che riservava ai dettagli quotidiani e agli aspetti marginali della società gli ha guadagnato il riconoscimento come uno dei pionieri della “street photography” britannica. Hopkins affermava che : “In strada non si scatta per caso: si osserva, si ascolta, si sente quando è il momento giusto.” Il suo sguardo umano resta il tratto più distintivo.

Hopkins non fu mai interessato alla fama personale. Preferiva che a parlare fossero le sue immagini, e nella loro essenzialità emerge tutta la sua poetica. Egli affermava: “Non ho mai voluto essere invadente. Le migliori fotografie si prendono con rispetto, non con aggressività , riassumendo così la sua visione etica e estetica. Per lui, ogni scatto era un piccolo atto di osservazione e comprensione. Non cercava lo scoop, ma piuttosto un frammento di verità. Questa coerenza stilistica e morale ha fatto sì che il suo lavoro mantenesse una straordinaria forza comunicativa nel tempo.

“Il segreto è aspettare. La realtà ti offre sempre una storia, basta essere abbastanza pazienti da vederla arrivare.” – Thurston Hopkins
L’eredità di Hopkins continua a ispirare generazioni di fotografi e appassionati. Le sue opere vengono ancora oggi studiate nelle scuole di fotografia e presentate in mostre retrospettive. Il suo contributo al fotogiornalismo britannico è riconosciuto come fondamentale, non solo per la qualità tecnica delle sue immagini, ma soprattutto per l’integrità con cui ha saputo raccontare il mondo. Thurston Hopkins ha dimostrato che anche una semplice scena di strada, se osservata con empatia e rispetto, può diventare un racconto universale.







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