“Cerco di creare un linguaggio visivo che non sia solo descrittivo, ma poetico, che possa toccare le emozioni più profonde. Non documento solo il dolore: lo trasformo in qualcosa che abbia una bellezza, anche se scomoda.” — Miguel Rio Branco

Miguel da Silva Paranhos do Rio Branco è uno dei nomi più influenti della fotografia e dell’arte contemporanea brasiliana. Nato nel 1946 a Las Palmas, nelle Canarie, in una famiglia di diplomatici brasiliani, ha vissuto tra il Brasile e l’Europa fin dalla giovane età. Iniziò la sua carriera artistica come pittore nel 1964 partecipando ad una mostra a Berna, in Svizzera. Nel 1966 arriva a New York dove studia all’Institute of Photography conseguendo il Bachelor of Arts e, nel 1968, si trasferisce a Rio de Janeiro per frequentare la Scuola di Disegno Industriale.

All’inizio degli anni Settanta Rio Branco ritorna a New York dove lavora come fotografo e regista di cortometraggi e contemporaneamente sviluppa il suo stile fotografico di forte carica poetica, tanto che ben presto fu riconosciuto come uno dei migliori fotogiornalisti del Colore e nel 1980 fu accolto, prima come corrispondente e poi come membro associato, nella Magnum Photos. Da allora il suo lavoro è stato pubblicato sulle riviste di tutto il mondo, da Stern al National Geographic, da Geo ad Aperture, da Photo Magazine ad Europeo e Paseante.


Fin dagli inizi della sua carriera Rio Branco si è sempre mosso tra diversi linguaggi artistici, combinando fotografia, cinema, pittura e installazioni. La sua opera è riconoscibile per il forte impatto emotivo, l’uso intenso del colore e l’indagine sui margini dell’esistenza umana. Le opere di Rio Branco sono principalmente ambientate in America Latina, sono dedicate al passaggio del tempo, alla sensualità del corpo e al suo disfacimento e sono caratterizzate da un uso drammatico del colore.

La fotografia per Miguel Rio Branco non è mai stata solo un mezzo documentaristico, ma una forma poetica e narrativa. Le sue immagini parlano di dolore, sensualità, marginalità e bellezza ferita. I soggetti che sceglie, spesso uomini e donne ai margini della società brasiliana, vengono ritratti con profonda umanità e dignità. Rio Branco cerca la luce anche nel degrado, l’estetica anche nella sofferenza. Le sue fotografie non sono mai fredde cronache: sono ritratti intensi, immersi in una drammaticità teatrale che coinvolge lo spettatore.

Una tappa fondamentale del suo percorso fu l’ ingresso nell’Agenzia Magnum Photos nel 1980. Questo riconoscimento consacrò la qualità narrativa e la potenza visiva del suo lavoro fotografico. Tuttavia, la sua vocazione è sempre rimasta più artistica che giornalistica. Anche all’interno della Magnum, Rio Branco ha mantenuto un approccio personale, privilegiando progetti autonomi e visioni intime rispetto al fotogiornalismo puro. Questo gli ha permesso di conservare uno stile coerente e inconfondibile.

L’uso del colore è un tratto distintivo dell’opera di Rio Branco. A differenza di molti fotografi documentaristi che privilegiano il bianco e nero, lui ha scelto il colore come strumento espressivo fondamentale. I suoi rossi accesi, i blu profondi, le ombre d’ambra e le luci taglienti creano un’atmosfera carica di simbolismo e pathos. Il colore nelle sue fotografie non è mai decorazione, ma elemento drammatico che rafforza il senso della scena. Anche quando fotografa la carne, le ferite o l’abbandono, lo fa con una tavolozza pittorica ricca e calibrata.

Il soggetto dell’immagine è la scarpa che sta cadendo a pezzi, ma tuttavia, a catturare l’interesse dell’osservatore è più il gioco di colore tra il blu del fumo e delle rocce e il rosso della terra, forse ottenuto combinando la luce del fuoco e la luce del giorno. E’ proprio questa contrapposizione che dà vita alla fotografia. In molte delle sue fotografie, Miguel Rio Branco mescola temperature di luce per ottenere una particolare gamma di colori, come in questo caso.
Tuttavia, quando pensa che il bianco e nero sia più adatto a rappresentare una determinata scena, come quando vuole evidenziare un forte contrasto tra ombra e luce, Rio Branco si esprime anche usando la tavolozza monocromatica pura o con qualche accento di rosso o blue. Ma ciò avviene marginalmente rispetto all’uso del Colore che, fin dagli inizi, è stato il suo tratto distintivo.



A proposito del suo particolare uso del “colore” Rio Branco ebbe a dire in una intervista: “……. Una cosa caratteristica è l’ uso drammatico dei colori che proviene dal mio passato come pittore. Anche se la pittura non è rimasta nel passato visto che dipingo dagli anni ’80. Un altro mio legame sono il cinema e la musica…Il mio stile fotografico è essenzialmente non-lineare, il che dipende molto dalla costruzione delle immagini, dal legame poetico che si crea con le immagini, e non con l’aspetto lineare dell’inquadratura e dell’uso di luce e colore” .

I. Rio Branco – Dulce Sudor Amargo
Il suo primo libro fotografico: “ Dulce Sudor Amargo” Rio Branco lo pubblicò nel 1985 per l’ Economic Culture Fund del Messico. Fu proprio in seguito alla pubblicazione di questo volume che egli divenne uno dei più autorevoli e conosciuti esponenti della fotografia a colori. Il libro raccoglieva ottanta scatti realizzati dal fotografo negli anni precedenti a Salvador do Bahia, la città tradizionale e colorata del nord del Brasile . In particolare egli si concentrò nell’esplorazione del centro storico di Pelourinho, noto per la sua povertà, emarginazione e la prostituzione.


Il libro mescolava immagini molto crude di degrado, miseria e povertà con immagini sensuali, tutte contraddistinte da quei colori vibranti col quale oggi le sue opere sono riconosciute in tutto il mondo. Dal punto di vista stilistico, le immagini di “Dulce Sudor Amargo” sono scattate in luce naturale, con una forte saturazione dei colori; nella composizione delle forme, all’interno di inquadrature apparentemente tradizionali, compare sempre un elemento di disturbo che rende le fotografie instabili ed enigmatiche.


II. Rio Branco – Nakta
Il secondo libro fotografico di Rio Branco fu: “Nakta” ( termine sanscrito che sta per “notte”) pubblicato nel 1996 per la Cultural Foundation di Curitiba. Nakta, alterna immagini di persone, oggetti e animali. L’ambientazione costante è quella di una notte scura, dalla quale emergono con violenza corpi di persone e di animali, vivi e morti. Nelle parole di Rio Branco, l’opera prende spunto dai bestiari : «L’idea di realizzare “Nakta” nasce dagli incroci delle immagini dei bestiari, ossia dalla relazione metaforica tra uomini ed animali. Questo però è un bestiario reale, non fantastico. Il libro rappresenta il mio percorso professionale, perché coinvolge concetti della fotografia e delle arti plastiche.»


III. Rio Branco – Silent Book
Tra i progetti più noti di Rio Branco c’è “Silent Book” pubblicato nel 1997, un’opera intensa che riassume la sua visione del mondo: silenziosa, sofferta, ma profondamente poetica. Il libro raccoglie fotografie scattate in diverse parti del Brasile, in particolare a Salvador de Bahia, dove Rio Branco ha vissuto e lavorato a lungo. Le immagini raccontano la vita nei quartieri poveri, le ferite del corpo e dell’anima, ma anche la resistenza, la spiritualità e il desiderio. La forza di “Silent Book” sta nella capacità di trasformare il dolore in un canto visivo, in una forma di redenzione estetica.


Silent Book è un libro fotografico nel quale si rincorrono corpi, oggetti, immagini che richiamano il sangue e la macellazione, oggetti sacri. L’ambientazione è un caleidoscopio di interni di bordelli, palestre di boxe, esterni di difficile decifrazione. Il libro nasce da un’esposizione alla Biennale de L’Avana nel 1994 (titolo dell’installazione: “Out of Nowhere“), poi modificata in parte in una mostra dello stesso anno a Francoforte e confluita in un lavoro a stampa dal titolo “Door into Darkness“.


La sagoma del pugile, che si staglia contro il muro azzurro cielo, sembra il simbolo stesso della boxe. Invece di essere stretta a pugno, la mano destra racchiude in un cerchio l’azzurro dello sfondo e gioca di rimando con la luce incorniciata dallo specchio, come se il fotografo avesse voluto divertirsi con gli elementi a sua disposizione. Il simbolo più evidente di potenza fisica, nonostante anch’esso richiami la mano e lo specchio, è il pneumatico abbandonato a terra, al centro di un ambiente altrimenti elegante. Le fotografie a colori di Rio Branco suggeriscono che la corposa materia grezza di cui è fatto il mondo, se di aspetto e colore gradevole, può diventare arte grazie a segni e gesti minimi come quello accennato dalle dita della mano destra del pugile.
Il riferimento alle palestre di boxe, ricorrente in Rio Branco, viene così spiegato dallo stesso autore: «Non credo per niente che la boxe e i combattimenti di tori siano un rimedio alla frustrazione dei poveri. Credo che siano cerimonie che in qualche modo hanno perso molto del loro aspetto rituale, distrutte dalla nostra cultura plastica contemporanea» .
IV. Rio Branco – Maldicidade
Dopo ave pubblicato il volume fotografico: “Miguel Rio Branco” nel 1998, bisogna aspettare il 2014 per la pubblicazione di un altro lavoro di Rio Branco: “Maldicidade” (di cui c’è stata anche una seconda edizione nel 2019). Il titolo gioca sulla composizione tra “Mal” (malattia) e “cidade” (città) ed è dedicato alla rappresentazione della vita nelle città, con fotografie prese in diverse grandi città nel mondo e un’attitudine che oscilla tra repulsione ed attrazione; gli oggetti principali delle fotografie sono gli emarginati, l’alienazione e la disumanità.

Alla base del progetto Maldicidade, nelle parole dell’autore, vi sono le negatività generate dai grandi centri urbani : «Questo libro è stato per me un momento catartico: anche se in queste megalopoli si trovano grandi persone, le città restano malate. Sono malate per l’enorme quantità di paura e paranoia, malate per quanto poco le persone si aiutano tra loro, più attente a sopravvivere come possono. E sono malate per le enormi disparità tra ricchi e poveri, qualcosa che non sarà mai risolto in città di milioni di abitanti.»


Molti critici hanno definito il lavoro di Rio Branco come una forma di “barocco moderno”, per la teatralità delle composizioni e l’intensità emotiva. Egli è un artista che non teme l’eccesso, il contrasto, l’ambiguità. La sua opera si colloca a metà tra la bellezza e la tragedia, tra il sacro e il profano. Le sue immagini sono spesso disturbanti, ma mai gratuite. In esse si avverte sempre una compassione profonda, uno sguardo che abbraccia anche il dolore senza giudicarlo.


La carriera artistica di Miguel Rio Branco si è sviluppata anche nel cinema e nelle arti visive. Ha diretto cortometraggi e documentari sperimentali, dove il linguaggio visivo si intreccia con il suono e la poesia. Le sue installazioni sono complesse, spesso immersive, e propongono una riflessione profonda sul corpo, la memoria e la condizione umana. L’artista ha più volte dichiarato di sentirsi vicino al linguaggio del cinema più che alla fotografia tradizionale, proprio per la sua natura sequenziale e narrativa. Questa tensione verso la multidisciplinarietà è centrale nel suo lavoro.

Rio Branco ha diretto da regista 14 cortometraggi ed è stato il direttore della fotografia di 8 lungometraggi. Il suo cortometraggio più conosciuto “Nada levarei quando morrer, aqueles que mim deve cobrarei no inferno”, collocato a metà degli anni 1970, si concentra sugli stessi soggetti che saranno poi ripresi nel libro fotografico Dulce Sudor Amargo, quindi la vita di prostitute ed emarginati nella città di Salvador da Bahia. Nel cortometraggio di Rio Branco video e immagini si alternano, con transizioni dure e musiche tese a sottolineare il forte contrasto di ciò che è rappresentato: gli edifici in rovina, la sensualità e il disfacimento dei corpi.

Rio Branco ha esposto le sue opere nei principali musei e gallerie internazionali, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, il MoMA di New York, l’Instituto Moreira Salles in Brasile, la Biennale di Sao Paulo nel 1983, lo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1989, presso il Palazzo della Fortuna a Venezia nel 1988, alla Aperture Foundation di New York nel 1986, alla Magnum Gallery di Parigi nel 1985, al Museum of Modern Art di Rio de Janeiro nel 1996. Sue fotografie sono presenti in collezioni pubbliche e private europee ed americane.

Rio Branco ha vinto numerosi premi nella sua carriera, non solo legati alla sua attività di Fotografo ( Tra questi ricordiamo il Gran Premio della Prima Triennale del Museo di Fotografia d’Arte Moderna di San Paulo e il Prix Kodak Photographique de la Critique ricevuto in Francia nel 1982 insieme ad altri due fotografi), ma anche premi legati alla sua attività cinematografica, tra cui il premio per il miglior direttore della fotografia per il suo lavoro in “Living Memory” di Otavio Bezerra e per “Abolition” di Bulbul Zozimo al Film Festival del Brasile nel 1988.

Negli ultimi anni, Miguel Rio Branco ha continuato a produrre opere e a sperimentare nuovi linguaggi, rimanendo una voce viva e originale nel panorama artistico contemporaneo. La sua capacità di rinnovarsi, pur rimanendo fedele alla propria poetica, è una delle ragioni della sua longevità artistica. Ancora oggi, i suoi lavori emozionano e provocano, spingendo il pubblico a interrogarsi su temi universali come l’identità, il corpo, la sofferenza e la redenzione.

La sua presenza sulla scena globale ha contribuito a diffondere una visione diversa del Brasile: non solo quella festosa e stereotipata, ma anche quella dolente, struggente e profondamente umana. Attraverso le sue immagini, ha raccontato il volto nascosto del suo Paese, dando voce agli invisibili e restituendo dignità a chi spesso ne viene privato.


Miguel Rio Branco è molto più di un fotografo: è un narratore visivo, un poeta dell’immagine, un alchimista della luce e del colore. La sua carriera attraversa decenni e linguaggi diversi, ma rimane sempre centrata sull’uomo e sulla sua complessità. Le sue opere ci invitano a guardare il mondo con occhi nuovi, più attenti, più profondi. E, forse, anche a trovare una forma di bellezza là dove sembrava impossibile trovarla.


Dal 2006 Rio Branco vive ad Araras, nello stato di Sao Paulo. Egli sostiene di essersi allontanato dalla città di Sao Paulo per ridurre lo stress e per la necessità di tornare alla natura. Nel 2021 Rio Branco ha dichiarato che è dal 2008 che non scatta più fotografie originali, ma utilizza i propri archivi per produrre le nuove installazioni: «Al momento non fotografo quasi più nulla, se non con il mio telefono. Guardo più alle costruzioni e agli spazi, sto cercando di tornare alla pittura. E, ovviamente, ci sono i progetti di libri fotografici. L’ultimo progetto che ho sviluppato sul campo è stato nel 2008 a Tokyo».








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