“La fotografia è per l’1% talento e per il 99% spostare attrezzature.”
Arnold Newman

Arnold Newman, maestro del “Ritratto Ambientato”, ed autore di numerosi celebri ritratti di personalità ed artisti del Novecento, non perdeva l’occasione di ritrarre anche i suoi colleghi fotografi, come per dire che, per una volta, possono stare davanti all’obiettivo e non dietro di esso. Ma per loro utilizzò un linguaggio completamente diverso: spogliò i soggetti del loro elemento più riconoscibile, ovvero la macchina e l’attrezzatura fotografica, e li posizionò in ambiente neutro o che ne rappresentava la personalità, ma non la professione.

Per cui se nel ritratto ambientato, anche se l’osservatore non conosce il soggetto ritratto può capire di cosa si occupa, il lavoro, la personalità guardando la posa ed il contesto nel quale è inserito e che fa da sfondo, con i fotografi ciò non avviene: il fotografo è un soggetto anonimo che solo chi ne conosce il volto ne può riconoscere la professione, ma spesso il volto dei fotografi non era conosciuto.

Pensiamo al ritratto di Henri Cartier- Bresson : si vede un uomo elegante appoggiato ad un muro di mattoni, con una scritta “3” e, a fatica, si scorge che appesa al braccio destro ha una piccola macchina fotografica. Potrebbe essere chiunque, ovunque e fare un mestiere qualsiasi; solo chi lo conosceva nella realtà potrebbe riconoscerlo in foto. Ma non è forse proprio questo che caratterizzava Bresson ( un indizio potrebbe essere il tre del numero delle parole del suo nome) un uomo schivo e discreto noto nell’ambiente come “l’uomo che sa essere dappertutto senza mai essere visto”, che non si faceva riprendere se non di schiena o di profilo perché diceva che un fotografo non doveva essere riconosciuto.

Arnold Newman fu uno dei pochi che riuscì a far posare Henri Cartier-Bresson, e non solo per una foto sfuggente, ma convincendolo a provare numerose scene e posture fino a trovare quella “perfetta”, e tutto questo all’aperto, in mezzo ad una strada trafficata di New York. Cartier-Bresson è anche l’unico suo collega a cui Newman concesse di farsi ritrarre con il suo strumento di lavoro, la sua inseparabile Leica 35 mm appesa al braccio, anche se è quasi invisibile.

Ansel Adams posa con un lungo grembiule, appoggiato ad una vetrata nel mezzo di una folta vegetazione. Anche qui nessun elemento per comprendere di cosa si occupa nella vita. Eppure forse tutto quel verde è dovuto al fatto che sia uno dei fotografi paesaggisti più famosi d’America, per cui il suo ritratto è velatamente “ambientato” e rivelatore : un osservatore che non lo conosce potrebbe essere portato a pensare che si occupa di natura, vegetazione, come effettivamente è. Ma non può sapere che il grembiulone che indossa gli serve in camera oscura, quando lavora con acidi e bacinelle, e non per fare il botanico o il giardiniere.


Ritorna il muro come sfondo essenziale per i ritratti di Brassai a New York, Berenice Abbott, Aaron Siskind, Manuel Alvarez Bravo, mentre per quello di Alfred Stieglitz con Georgia O’Keeffe sparisce anche il muro e la fotografia si riduce ad immortalare i soli soggetti davanti ad uno sfondo neutro.





Il muro è anche il co-protagonista del ritratto di Joel Meyerowitz ed Harry Callahan , mentre per quelli di Paul Strand e Robert Doisneau basta uno sfondo di carta neutra per far risaltare la personalità del soggetto.




Niente fa pensare che la simpatica vecchietta con lo scialle e con delle foglie in mano sia la famosa fotografa Imogen Cunningham con gli elementi che più gli sono cari : il bosco, gli alberi e le foglie, né che il volto della signora che spunta da uno sfondo nero adornato solo con una foglia di mais, sia quello della fotografa Ruth Bernhard.


E l’elegante signore seduto in modo plateale in una camera di un palazzo nobiliare, che porta a pensare che sia un conte o un duca, sia in realtà il fotografo di moda Cecil Beaton. Eppure la personalità di Beaton ben si sposa con l’ambiente, essendo autore di fotografie eleganti e maestose nella loro raffinatezza. Anche Diane Arbus posa seduta in modo regale su un’antica sedia nobiliare, circondata dalle sue creazioni che danno un’atmosfera dark gothic all’ambiente, che ben si sposa con il suo abbigliamento.


Mentre Bill Brand è avvolto in un’atmosfera dai forti contrasti, proprio come sono le sue fotografie, Andrè Kertsez sembra a suo agio, seduto alla scrivania, probabilmente il suo posto preferito della casa e dove passa più tempo. Così come il fotografo e biologo Roman Vishniac posa nel suo studio, circondato da libri ed appunti.



Il primo piano di un anziano Gordon Parks con il suo sguardo sornione, non è per nulla ambientato, ma mette in risalto un aspetto della sua personalità quale può essere la pazienza e la tranquillità. Così come il sorriso del fotografo e pittore francese Jacques Henri Lartigue fanno pensare ad una personalità positiva e gioiosa. In ogni caso, nessuno di loro, è in uno studio fotografico o mentre scatta una foto.


Ma perché dunque, Arnold Newman, per ritrarre i suoi colleghi fotografi scelse di non servirsi della tecnica del “ritratto ambientato” ? Probabilmente perché se ognuno di essi sarebbe stato ritratto in uno studio fotografico, o in una camera oscura, o comunque con della attrezzatura fotografica, i loro ritratti sarebbero risultati tutti simili e quindi poco originali. O forse perchè a Newman interessava immortalare la personalità dei suoi colleghi, la loro vera essenza, che stando sempre dietro l’obiettivo, non veniva mai fuori. Un altro aspetto è quello di averli fotografati sempre in bianco e nero, che era il linguaggio fotografico che essi avevano usato per tutta la loro carriera.

Oltre che dei suoi colleghi Arnold Newman ci ha lasciato anche molti suoi autoritratti. Fin da quando era giovane ed iniziò la professione di fotografo negli anni Quaranta, amava fotografarsi con la sua attrezzatura, nel suo studio, durante le sessioni di lavoro. Non certo per manie di protagonismo, ma per documentare il tempo che passava, sia sul suo volto che nella sua carriera di fotografo.





“Un ritratto di successo è come uno sgabello a tre gambe. Tira fuori una gamba e crolla tutto. In altre parole, le idee visive combinate con il controllo tecnologico combinato con l’interpretazione personale equivalgono alla fotografia. Ognuno deve tenere il proprio posto”.
Arnold Newman

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Per approfondire la conoscenza del lavoro di Arnold Newman visita il sito web www.arnoldnewman.com







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