“Quando ho guardato le cose per quello che sono, sono stato tanto sciocco da persistere nella mia follia e ho scoperto che ogni fotografia era uno specchio di me stesso“. Minor White

Minor Martin White nacque nel 1908 a Minneapolis (Minnesota). Ebbe tra le mani la sua prima macchina fotografica a 8 anni, ma all’epoca era più interessato alla botanica (si laureò all’Università del Minnesota proprio in questa disciplina) e alla poesia. Solo verso i trent’anni si appassionò alla fotografia e divenne assistente in uno studio fotografico di Portland (Oregon) mentre, contemporaneamente, per sopravvivere, lavorava come barista, cameriere, portiere di notte.

Durante la II° Guerra Mondiale Minor White prestò servizio nella Marina e trascorse gli anni dal 1942 al 1945 nelle Filippine. Tornato negli Stati Uniti studiò Storia dell’Arte alla Columbia University e nel 1946 iniziò la sua collaborazione, come fotografo, con il MoMa (Museum of Modern Art di New York). In realtà, molte delle sue fotografie erano state incluse in uno spettacolo al Museum of Modern Art già nel 1941 grazie al riconoscimento del suo spirito innovativo fotografico personale, che White dimostrò già nei suoi primi lavori.

Nel secondo dopoguerra Minor White entra in contatto con alcuni importanti fotografi come Alfred Stieglitz, Paul Strand, Edward Steichen. Tra questi fu sicuramente influenzato dal primo, Alfred Stieglitz, da cui apprese il potenziale espressivo della “Sequenza” ovvero una serie di fotografie presentate come Unità, con un unico tema. White presentava queste “unità di sequenze” insieme ad un testo scritto, avendo anche una formazione da poeta. Il suo intento era quello di creare o suscitare stati d’animo ed emozioni in chi le avrebbe guardate. Anche il concetto di “Equivalenza” ovvero dell’immagine fotografica «intesa come metafora visiva» la riprese da Stieglitz.

Ma sarà Minor White a portare alla massima espressione entrambi i concetti di “sequenza” ed “equivalenza” nell’arte Fotografica. A tali tecniche egli seppe unire la sua visione personale, ispirata da varie teorie filosofiche, spirituali e intellettuali. Una visione complessa, come la sua vita, attraversata da conflitti interiori. Minor White fu un uomo molto religioso, ma alla continua ricerca della religione: ora quella cattolica, ora il Buddismo Zen, ora il misticismo. Fu omosessuale, e visse questa condizione con grande difficoltà: viveva nell’America del dopo guerra, non certo ai tempi di Robert Mapplethorpe. Un outing esplicito avrebbe potuto distruggere la sua carriera di insegnante. Anche per questo tenne nascosti gran parte degli scatti di nudo maschile che, riscoperti più tardi, si rivelarono autentici capolavori del genere.

Per Minor White la Fotografia non era semplice “documentazione”, di uno spazio esteriore, ma di un paesaggio interiore del fotografo, che quest’ultimo riflette sull’osservatore attraverso un meccanismo di identificazione intuitiva. E’ dunque “metafora“. Le sue sono immagini dal potente simbolismo, paesaggi a volte irriconoscibili, così complessi da non poter essere identificati. Sebbene nei suoi paesaggi si intuisca un’affinità con i lavori di Ansel Adams ed Edward Weston (era legato ad entrambi da una profonda amicizia), a White non interessava documentare un luogo, un “dove” la fotografia fosse stata scattata, ma che, ad un certo punto, in quel dato paesaggio, qualcosa si fosse rivelato al fotografo tanto da far nascere in lui l’esigenza di immortalarlo. Questa rivelazione è anche, se vogliamo, di tipo biblico: la luce di Dio.

Tutto il lavoro di White è pervaso da una profonda religiosità, come dimostra la serie di fotografie “Manifestazioni dello Spirito“. Pensiamo alla sua foto della porta di un garage sotto la neve, dove la conformazione della porta ricorda una croce bianca. Se l’osservatore riconosce questo tipo di sensazione, per esempio la ricerca del senso di religiosità di chi l’ha scattata, ecco che si è avuta un “Equivalenza“, tra ciò che è effettivamente rappresentato e ciò che il fotografo voleva comunicare.

Come detto in precedenza, il concetto di “Equivalenza” in Fotografia non si deve a Minor White, ma viene teorizzato per primo da Stieglitz. Solo che White lo amplifica a tal punto da farlo diventare centrale nella sua poetica visiva. Egli lo spiega bene nel suo articolo del 1963: “ Equivalence: The Perennial Trend ” (Equivalenza: La Moda che non passa) dove spiega che una fotografia può agire su tre livelli:
I) Il primo livello è quello “Visuale” : il fotografo riconosce nel soggetto qualcosa che gli ricorda un sentimento e lo esprime visivamente, sfruttando i suoi mezzi fotografici. Per esempio decide di fotografare una nuvola perchè con la sua rotondità, delicatezza, morbidezza, gli ricorda un sentimento di femminilità provato verso una donna.

II) Al secondo livello, avviene la vera e propria “Equivalenza“, cioè chi osserva la fotografia coglie un senso di corrispondenza con quanto provato dal fotografo, e soprattutto con qualcosa che riconosce di sé stesso. La fotografia diventa quindi una sorta di specchio. Può essere un riconoscimento gradevole o sgradevole, ma comunque riguarda qualcosa di sé.

III) Al terzo livello, l’osservatore trasforma ulteriormente ciò che ha visto nella fotografia secondo le proprie inclinazioni e “distorsioni”, diventando altro ancora, ma sempre riportando a qualcosa di sé, appunto perché trasformata dentro la sua mente. Trattandosi di un processo personale di ogni osservatore, è impossibile da prevedersi e descriversi. Ecco perchè alcune immagini ci restano impresse più di altre, anche dopo lungo tempo e in modo diverso ad ogni osservatore.

In poche parole Minor White voleva dimostrare, col suo lavoro, la capacità delle immagini fotografiche di rappresentare più del soggetto in se stesso. Egli afferma nell’articolo sopra citato: < Quando una fotografia funziona da Equivalente, essa è al contempo una registrazione di qualcosa visibile davanti alla telecamera e di qualcos’altro che si forma in modo simbolico e spontaneo … L’Equivalenza è una funzione, un’esperienza; non una cosa. Qualunque fotografia, indipendentemente dalla fonte che l’ha prodotta, può fungere da Equivalente per qualcuno, qualche volta, da qualche parte…

….. Se l’osservatore si rende conto che, per lui, ciò che vede nell’immagine corrisponde a qualcosa all’interno di sé – e cioè che la fotografia riflette qualcosa dentro di sé – allora sta sperimentando un certo grado di Equivalenza ..….. Con la teoria dell’Equivalenza, a tutti i fotografi è dato uno strumento per utilizzare la fotocamera in relazione a mente, cuore, visceri e spirito degli esseri umani. In fotografia è quindi stata appena avviata una moda che non passerà mai ».

Deriva sicuramente dal suo background di poeta il fatto che le fotografie di Minor White debbano essere più lette che viste, più sentite che guardate. Proprio come un poeta, spesso realizzava delle Sequenze di immagini come fossero frasi di un verso poetico. Le chiamava < cinema of stills > ossia: cinema fatto da immagini fisse; e le accompagnava con testi, ovviamente da lui stesso scritti. Egli affermava: « Una volta liberatosi dalla tirannide delle superfici e delle strutture, della sostanza e della forma, il fotografo potrà raggiungere la verità dei poeti ». E sempre come un poeta, usava la grammatica (la tecnica) per amplificare le potenzialità estetiche e creative: è il caso della pellicola all’infrarosso, che impiegò con rara perizia.


Nel 1947 Minor White diventò membro della “Photo League” una cooperativa di fotografi di New York interessati ad una serie di cause sociali comuni e che contava tra i suoi membri alcuni dei più importanti e noti fotografi americani della metà del XX secolo. Nel 1952 con Ansel Adams, Dorothea Lange ed altri, fondò a San Francisco “Aperture” , una rivista di fotografia concepita per comunicare sia con fotografi professionisti che amatoriali, e che si prefiggeva di discutere i problemi relativi alla fotografia, condividere le proprie esperienze, e descrivere nuove e potenziali tecniche. Di tale rivista White fu a lungo direttore.

Minor White realizzò migliaia di fotografie in bianco e nero di paesaggi, persone ed oggetti astratti, create con una tecnica e con un propria sensibilità per il chiaroscuro. Le sue foto sono straordinarie visioni di un mondo immaginato con la sua mente e visto con i suoi occhi, campi e prati chiarissimi, cieli molto scuri che contrastano con nubi estremamente bianche, edifici che si stagliano netti senza troppi dettagli. La composizione spesso segue la sezione aurea; da qui nasce equilibrio e bellezza, dove c’è un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto.

L’insegnamento fu estremamente importante nella vita di Minor White. Egli condusse numerosi workshop nelle sue case-residence che erano sempre aperte per gli studenti, e le lezioni avevano un che di esoterico, sacrale. Dotato egli stesso di un notevole carisma e imponenza fisica (alto, solenne, con una massa di capelli bianchi), utilizzava metodi didattici inusuali, tipo far compiere esercizi di danza, sedute di meditazione, letture come: “Lo Zen e il tiro con l’arco”, “Il racconto del Graal” sul Re Pescatore e il viaggio dell’Eroe di Parsifal (dove la ricerca del Santo Graal è una metafora per ricerca e la scoperta della propria parte divina). White aveva una visione della vita e dell’arte da illuminato, sosteneva che per fare il viaggio per la conoscenza di se stessi bisogna avere una guida, un maestro che ti indichi la giusta via da percorrere. “Perché per Essere, bisogna prima sapere chi siamo” come diceva Shakespeare.

I workshop tenuti da Minor White erano improntati alla disciplina ed alla severità, tanto che diversi studenti lasciavano le lezioni dopo pochi giorni per non farsi più vedere. Per alcuni critici i suoi metodi didattici erano controversi perchè non facevano altro che “produrre” cloni del docente. Ricordiamo un esercizio davvero inusuale che White faceva compiere ai suoi allievi: “fotografare la propria essenza”. E per “essenza” egli intendeva:
«La vostra essenza è la qualità interiore dell’esistenza, che è stata con voi sin dalla nascita. E’ quello che si conosce come “se stessi“». Minor White
Per trovare tale essenza egli raccomandava agli studenti: < Avventuratevi nel paesaggio senza aspettative. Lasciate che sia il vostro soggetto a trovarvi. Quando si avvicina, percepirete una risonanza, un senso di identificazione con esso. Se, allontanandovi, la risonanza svanisce, oppure se cresce all’ avvicinarvi, allora saprete di aver trovato il vostro soggetto. Sedete nei pressi di esso, e attendete che la vostra presenza sia accettata. Non cercate di fare una fotografia, ma lasciate che sia la vostra intuizione a decidere il momento in cui far scattare l’otturatore. Se dopo aver scattato percepirete una sensazione di compimento, fate un inchino e lasciate andare il soggetto e la vostra connessione con esso>.

Minor White non credeva nella capacità della fotografia di rappresentare il mondo oggettivamente, ed era convinto che le cose apparissero soltanto grazie a relazioni reciproche. Riteneva inoltre che la fotografia fosse uno strumento adatto a sondare la vita interiore dell’artista, una vita dedicata alla ricerca dei significati nascosti sotto le apparenze ordinarie. Come nella fotografia da lui denominata “Yin E Yang” dove i due termini distinguevano il lato in ombra di una collina da quello soleggiato, dove i tratti in ombra si possono dedurre a partire dai dettagli illuminati.

Minor White aveva, dunque, un suo modo personale di denominare le fotografie e le didascalie che le accompagnavano. Spesso esse non aiutavano alla comprensione dell’immagine, o riportano solo il luogo ma era difficile distinguere il soggetto, oppure egli usava il titolo come veicolo di informazioni per interpretare l’immagine. E’ il caso della foto di un foro di proiettile che egli etichetta “Galaxy” perchè gli ricorda una sorta di cielo notturno. Ed ecco che per “equivalenza” il soggetto ovvero il danno causato da uno sparo diventa la visione di una costellazione. Senza la didascalia, “Fori di proiettile” potrebbe anche essere una sorta di cielo notturno. E qui White l’aggiunge non tanto per etichettare l’immagine, quanto per aggiungere un livello; ed ecco che il soggetto diventa duplice: il danno causato da uno sparo, e una costellazione.

<Quando guardo le fotografie che ho fatto, ho dimenticato quello che vidi di fronte alla fotocamera e rispondo solo a ciò che sto vedendo nella fotografia> . Minor White
In età avanzata Minor White riprese fotografie di rocce, surf, legno e altri oggetti naturali isolati dal loro contesto, raffigurati come forme astratte, col fine che fossero interpretati dallo spettatore come qualcosa che andava oltre al soggetto effettivamente rappresentato. Secondo White : « quando un fotografo si presenta a noi con ciò che gli è “equivalente”, ci dice: “Ho avuto una sensazione su qualcosa ed ecco la mia metafora di quella sensazione”. Ciò che è veramente accaduto è che esso ha riconosciuto un oggetto o una serie di forme che, una volta fotografate, avrebbero prodotto un’immagine suggestiva col potere di indurre nello spettatore uno specifico sentimento o uno stato d’animo, o di condurlo in un luogo dentro di sé».

Dal 1953 al 1957 Minor White insegnò Fotografia alla George Eastman House di Rochester, il più antico museo del mondo dedicato alla Fotografia. Dal 1955 al 1964 insegnò Fotografia e Fotogiornalismo anche al Rochester Institute of Technology e contemporaneamente dirigeva un’altra importante rivista di fotografia americana: “Image“. Durante gli anni Sessanta tenne lezioni e workshop in diversi istituti, fra cui la California School of Fine Arts come assistente di Ansel Adams, e dal 1965 al 1976, anno della sua morte (morì a 68 anni a Boston per un attacco cardiaco) insegnò anche al MIT ( Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge.

Moltissime sono state le mostre che Minor White ha tenuto in vita e che si continuano a tenere dopo la sua morte, tanto che è difficile elencarle tutte. La sua indiscussa esperienza nel campo fotografico, è stata riconosciuta dai critici, che lo hanno consacrato come uno dei fotografi più importanti d’America.
“La Creatività dell’uomo è la divinità in lui” – Minor White








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