“La superficie esteriore che appare ai miei occhi costituisce uno stimolo che scatena un impulso, una reazione. Io cammino per le strade della città con la mia macchina fotografica costantemente bombardato da questi stimoli. Con la mia macchina riesco a produrre una reazione a questa molteplicità di sollecitazioni e a rispondere a loro”. (Daido Moriyama)

Hiromichi (Daido) Moriyama nasce a Ikeda-cho, Osaka, nel 1938. Il padre è impiegato per una società di assicurazioni e, a causa del suo lavoro, la famiglia si trasferisce in diverse città del Giappone. Il suo vero nome non è dunque quello con cui siamo soliti riconoscerlo come una delle figure più significative della fotografia contemporanea giapponese, bensì Hiromichi , come lui stesso spiega in un’intervista:
« Il mio nome è composto da due caratteri: HIRO + MICHI. Hiro vuol dire “ampio” e michi significa “strada”, quindi letteralmente “ampia strada”. Ma questi due caratteri si possono leggere anche DAI e DO, da cui Daido. La lettura più naturale e immediata sarebbe quindi Daido e la gente quando vedeva scritto il mio nome pronunciava Daido, sebbene ogni volta io spiegassi: no, vi sbagliate: si legge “Hiromichi”. Poi, col tempo ho lasciato perdere e sono diventato Daido ».

E’ piuttosto curioso che un autore per cui il tema del viaggio è così centrale porti scritto già nel nome il proprio legame con la strada: una strada lungo la quale troverà per caso o per fortuna una macchina fotografica; una strada lungo la quale sceglierà a vent’ anni di abbandonare definitivamente la pittura in favore della fotografia.

Daido Moriyama inizia la sua carriera fotografica come apprendista del grande fotografo Takeji Iwamiya e nel 1961 si trasferisce a Tokyo per aderire al collettivo “Vivo”, promotore di una “nuova soggettività” in fotografia, che però si scioglie a distanza di breve tempo. Sempre a Tokyo, lavora come assistente del maestro Eikoh Hosoe, da cui riceve non solo suggerimenti tecnici, ma anche la suggestione per cui la macchina fotografica sia un ottimo strumento per la manifestazione dell’invisibile e la conservazione della memoria.


Gli anni Sessanta sono decisivi per la formazione intellettuale di Daido : sono gli anni delle letture dei classici del beat e in particolare del Jack Kerouac di “On the road“, che per il fotografo giapponese possiede «il dono di riuscire a trasmettere immagini fotografiche dei suoi viaggi attraverso la macchina da scrivere», e dello scrittore giapponese Yukio Mishima, amico nonché soggetto, di molti lavori di Hosoe.

Le foto della serie “Hippie Crime” sono frammenti di “quell’esperienza parziale e permanente” della realtà che questo fotografo on the road, libero da limiti e convenzioni, ha immortalato per anni in un numero impressionante di scatti. Come quello del bel tenebroso Naoki Mori, sguardo celato dalle lenti scure dei Raiban, che appoggia la testa al finestrino della metropolitana Tokyo-Kamakura , mentre sullo sfondo scorre il paesaggio lungo i binari, in quell’ intenso monocromatismo che caratterizza la serie fotografica “Hippie Crime”.


Al tempo stesso, Moriyama è molto ricettivo in campo specificatamente fotografico e rimane colpito da un lato dalla correzione alla poetica bressoniana del reportage operata dall’americano William Klein, che a scapito del ‘momento decisivo’ propone un esercizio non più epifanico ma aperto del gesto fotografico, e dall’altro dal lavoro di Andy Warhol, del quale lo seduce la capacità di usare oggetti ordinari «attribuendo a questi oggetti un erotismo che è vicino a ciò che ritengo il significato fondamentale della fotografia».


Nel 1964 Daido Moriyama inizia la carriera di freelance e tre anni più tardi vince il premio come “miglior artista emergente” della Japan Photo-Critics Association. Negli stessi anni inizia a collaborare con diverse riviste, la più importante delle quali, benché uscita in tre soli numeri, è “Provoke” (rivista di culto nell’ambiente della cultura della contestazione). Per Provoke realizza due celebri serie – l’una notturna, scattata in un love hotel, l’altra realizzata in un drugstore ad Aoyama durante gli scontri del 1968 tra polizia e oppositori.

A poco a poco, il giovane Daido matura gli insegnamenti ricevuti dal maestro Hosoe, e cioè che la macchina fotografica è uno strumento privilegiato nella cattura dell’invisibile, e nello specifico della memoria, come egli affermerà in uno dei volumi più significativi nella storia della fotografia del XX secolo : “ Memories of a Dog” pubblicato nel 1984:
«Le fotografie sono fossili di luce e di memoria, le fotografie sono la storia della memoria». [Daido Moriyama]

Ma prima di “Memories of a Dog” Moriyama firma diversi altri lavori interessanti. Nel 1968 pubblica le due serie fotografiche: “Japan : a Photo Theater” e “Itinerant Entertainers” che palesano un chiaro avvicinamento alla poetica di Shomei Tomatsu, che Moriyama definisce come:
«un’indagine senza fine del mondo, una voglia inesauribile di raccontare le città, le strade e la gente che le popola …..Non importa il soggetto in quanto sono i tanti aspetti della vita ad attrarmi e ad affidarsi al mio obiettivo»

Continuamente in movimento all’interno della città, profondamente coinvolto e ispirato dagli stimoli che essa offre, Moriyama si serve della macchina fotografica per rispondere alla molteplicità di sollecitazioni e riconoscerne le rispettive problematicità. In questo modo, l’autore sfiora e interroga il mistero della Tokyo contemporanea, manifestazione artistica in continuo cambiamento, trasformandosi grazie al gesto fotografico in una sorta di cacciatore di realtà. La sua tecnica predilige il bianco e nero ad alto contrasto, che esalta le linee nette e i dettagli sporchi della città.

Se l’esperienza di un personale vagabondaggio si identifica col trascorrere delle immagini, le tracce impresse sulla pellicola trasformano, di conseguenza, la lettura visiva di un mondo, provocando in chi le osserva sempre nuovi movimenti e interrogazioni, come d’altronde si propone programmaticamente lo stesso fotografo:
« Non è possibile comprendere, attraverso una come cento fotografie. É come un rompicapo.
Ecco: più che un mistero mi sembra un labirinto. Camminare per la città è per me come camminare in un labirinto, ed è per questo che mi piace. Non voglio offrire risposte, preferisco lasciare irrisolta la questione, sospesa la domanda su ciò che abbiamo di fronte, anche dopo aver guardato le immagini ». Daido Moriyama.

Attraverso uno stile che ama l’impatto e detesta ogni compromesso estetico, il fotografo giapponese percorreva le strade di una Tokyo in continua trasformazione, tracciandone un personale cammino fatto di occasioni visive. Volti e situazione-limite sono i suoi soggetti preferiti. Nelle sue immagini c’era il Giappone rurale, quello delle nuove città, i viaggi e le persone con cui aveva trascorso una notte, le strade di campagna e le grandi vie urbane, semivuote o popolate da un’umanità pittoresca e decadente.

C’era un ritratto fedele dell’anima nipponica dove le immagini si facevano portavoce del malessere giovanile dell’epoca, in aperta contestazione con l’ipocrisia del sistema sociale e politico, mostrando un’idea del Giappone che pochi europei avevano. Immagini di vicoli nascosti e scorci attraverso i quali Moriyama non si limitava ad osservare il mondo, ma lo filtrava mediante uno sguardo secco e crudo.

L’uso del bianco e nero, che rimanda alla tradizione del fotogiornalismo giapponese, accentua poi i contrasti e le idiosincrasie di questo mondo e conferisce al viaggio di Daido Moriyama una dimensione simbolica, quasi onirica. I bianchi e neri sgranati, molto contrastati, talvolta sovraesposti e volutamente sfocati ci mostrano volti nelle strade, troupe teatrali d’avanguardia in tournée, supermercati, muri della città con manifesti strappati e le fotografie di fotografie tratte da magazine, poster, pubblicità, televisione si mischiano a quelle scattate dal vivo.

Con i suoi scatti graffiati Moriyama non intende fornire risposte, ma indagare la realtà distruggendola, osservandone i singoli frammenti, per poi ricostruirla secondo un diverso ordine. Attraverso l’uso di un bianco e nero contrastato, accentuando i contrasti e i contorni del mondo esteriore, Daido Moriyama si fa poeta dell’imperfezione, raccontando le emozioni esperienziali che trascendono ogni scatto.

Tra i suoi scatti randagi e ‘dannati’, volutamente sgranati e sovraesposti, c’è l’immagine più iconica di Moriyama raffigurante un cane randagio ripreso frontalmente, con uno sguardo inquieto e minaccioso. Simbolo della solitudine urbana e del disordine interiore, “Stray Dog”, scattato a Misawa nel 1971, è stato battuto all’asta della newyorkese Christie’s per 10/15 mila dollari pochi anni fa.

Uno dei tratti distintivi dello stile di Moriyama è, dunque, l’uso del “are-bure-boke” – letteralmente “sgranato, mosso, sfocato”. Questa estetica rompe con le convenzioni fotografiche tradizionali e fa emergere un linguaggio visivo in cui l’imperfezione diventa espressione poetica. Attraverso immagini contrastate, sovraesposte o volutamente disturbate, Moriyama traduce in fotografia la sensazione caotica e frammentaria della vita moderna. Non cerca la bellezza classica, ma l’energia disordinata che attraversa i corpi, le strade e le insegne luminose di Tokyo.

Moriyama utilizza spesso pellicole spinte oltre i limiti della sensibilità, ottenendo grana marcata e neri profondi che inghiottono parte dell’immagine. Questo gioco di luce e ombra non solo restituisce un impatto visivo forte, ma comunica anche un senso di inquietudine e di ambiguità, come se ogni angolo urbano celasse un segreto. In questo modo, la fotografia diventa un linguaggio di tensione, capace di evocare più di quanto mostri.

Un altro elemento fondamentale è la relazione tra soggetto e fotografo. Moriyama non mantiene la distanza documentaria tipica del reportage, ma si immerge nello spazio che condivide con i passanti, gli animali o le superfici che fotografa. Questa vicinanza genera immagini intense, spesso claustrofobiche, in cui il punto di vista sembra emergere direttamente dalla strada, senza mediazioni. Il suo sguardo è quasi animale, istintivo, come se fosse guidato dal puro impulso visivo piuttosto che da un progetto narrativo.


La tecnica di Moriyama non si esaurisce nello scatto, ma prosegue nella stampa e nella diffusione. I suoi libri fotografici, come “Shashin yo Sayonara” e “Farewell Photography”, sono parte integrante del suo linguaggio. La serie di scatti di “Farewell Photography” (1972) sono volutamente sgranati, sovraesposti e astratti, e sfidano la nozione stessa di fotografia come documento. Un gesto radicale di ribellione estetica. Le immagini vengono montate, accostate, ripetute o tagliate, creando sequenze che trasmettono ritmo e disorientamento.

Per Moriyama, la fotografia non è mai un’immagine isolata, ma un flusso continuo che si sviluppa tra le pagine, come un diario visivo ininterrotto della vita urbana e della memoria personale. Caratterizzate da un utilizzo del bianco e nero ostinatamente ipercontrastato, le foto urbane di Moriyama rappresentano la parte più importante del suo lavoro. Pur ritraendo soprattutto “non-luoghi” ed eventi che durano lo spazio di un istante, Moriyama crea un’arte in qualche modo etica, poiché le sue immagini sono costruite come incontri.


Le strade sono il teatro di molte fotografie di Moriyama , in alcuni casi il loro vero soggetto, dove la figura umana viene talvolta sostituita o equiparata agli oggetti e alle immagini che il fotografo- osservatore incontra sul proprio cammino. Nell’ottica di questa nuova strategia dell’attenzione, l’operazione dello scatto serve a fissare un inesauribile catalogo di occasioni visive e ad avvicinarsi alla comprensione o almeno alla consapevolezza di tutte le loro possibili interpretazioni.

Se agli inizi degli anni ’70 con i lavori: “A Hunter” e “Farewell Photography” Daido Moriyama sorprende e turba l’ambiente fotografico giapponese classico, con la serie “Tales of Tono” (1974) sembra voler rimediare raccontando il Giappone rurale e più tradizionale. Seguono: “Scandal”, “Pantomime”, “Accident”, fino a “ Shinjuku” , serie degli anni ‘90 composta da istantanee scattate nelle strette vie della città di Shinjuku, descritta da Moriyama come dimora caotica dei desideri della gente, «desideri di memoria».

Tra le fotografie comparse per la prima volta nel volume “A Hunter” del 1972 una colpì più di tutte: lo scatto di una ragazza che corre in un vicolo molto stretto e che porta l’osservatore ad immedesimarsi con l’inseguitore, lasciandosi trasportare nel mondo oscuro, privato e indefinito della foto. Pare che la ragazza fosse una prostituta, quasi che il dettaglio avesse un qualche legame con la situazione difficile in cui è ritratta. Il flash del fotografo l’aveva colta mentre avanzava a piedi nudi su una montagna di detriti accumulati in un vicolo, un istante prima che scomparisse nel buio della notte.

Dalla serie “Three beauty spots of Japan” pubblicata nel 1974 colpì un’immagine in particolare; quella di un bambino che sembra non avere nulla di umano. Con le mani in tasca, i pantaloni tirati prepotentemente su dalle bretelle, il colletto della camicia chiuso, una posa composta e lo sguardo demoniaco, sembra il prodotto mostruoso e disumanizzato di una generazione che ha vissuto il conflitto atomico. Il soggetto si trova in un paesaggio urbano di cavi elettrici e di macchine che sfrecciano su uno sfondo sbilenco. Lo scatto è probabilmente “rubato” e l’intervento in camera oscura (l’alone di luce) rispecchia l’attività della fotografia giapponese di quel periodo, intenta a illustrare le rovine di una civiltà che prova a risollevarsi dal cataclisma nucleare.

Negli anni Ottanta Daido Moriyama sciocca l’ambiente fotografico internazionale con la pubblicazione di “Tights” (1987), una serie di fotografie ravvicinate di gambe femminili in collant, rese sensuale e disturbanti dall’uso del bianco e nero ad alto contrasto. Un esempio della tensione tra eros e alienazione che attraversa il suo lavoro. Le fotografie verranno esposte in diverse mostre ottenendo una grande visibilità anche su pubblicazioni e riviste.

Negli anni Novanta, arriva per Moriyama il successo internazionale che lo porta ad esporre in diverse gallerie e musei di tutto il mondo tra cui: San Francisco Museum of Modern Art (1999, 2009); Metropolitan Museum di New York; Fotomuseum di Winterthur (1999), White Cube, Londra (2002), Fondation Cartier pour l’art contemporain, Parigi (2003), Kunsthaus di Graz; Museum of Contemporary Art di Vigo, Spagna (2005), Museum of Contemporary Art, Tokyo (2008).

Oggi Moriyama è considerato uno dei caposaldi della fotografia nipponica ed uno dei nomi più importanti ed innovativi del panorama fotografico contemporaneo. Egli si esprime rigorosamente in bianco e nero e fin da quando si trasferì a Tokyo all’inizio degli anni Settanta, si conquistò la fama di fotografo di strada che immortala scorci di realtà attraverso un’ indagine che coniuga la visione “documentarista” del reporter all’urgenza dell’espressione intimistica.

Negli ultimi mesi, Daido Moriyama continua a restare straordinariamente attivo, portando avanti in parallelo esposizioni, progetti editoriali e innovazioni nel campo della fotografia urbana. Tra le sue iniziative più significative, spicca la mostra collettiva intitolata “Hellooooo”, un dialogo tra la fotografia di Moriyama e le opere dell’artista americano Sayre Gomez, allestita presso la Taka Ishii Gallery di Tokyo da aprile a maggio 2025. Contemporaneamente, ha inaugurato un’altra esposizione, “In Tokyo”, presso la GR Space Tokyo, attiva dal 21 agosto al 27 ottobre 2025: un’esposizione gratuita dedicata alla sua visione unica della città.

Inoltre, Moriyama è coinvolto nel progetto artistico urbano “The Tokyo Toilet / Shibuya”, che trasforma i bagni pubblici di Shibuya in esperienze artistiche immersive. Le sue immagini in bianco e nero sono state applicate in modi sorprendenti — stampate su carta igienica, pareti, collage o installate dentro le cabine — restituendo la città a se stessa attraverso uno sguardo viscerale e poetico. Questo progetto è in corso ed è aperto al pubblico fino al 23 settembre 2025, con possibilità di ulteriori sviluppi futuri
.

A livello editoriale, Moriyama continua la sua produzione di libri fotografici: ad esempio, nel 2024 è stato pubblicato “Record 2”, antologia che raccoglie selezioni tratte dalla sua rivista Record . Inoltre, il design realizzato da Moriyama è finito sulla copertina dell’album BULLY dell’artista Ye (precedentemente noto come Kanye West), consolidando così anche la sua presenza nel panorama visivo contemporaneo internazionale.

In sintesi, Daido Moriyama — pur essendo prossimo ai 90 anni — non rallenta il suo ritmo: tra mostre a Tokyo, interventi artistici urbani, progetti editoriali e collaborazioni cross-disciplinari, continua a spingere i confini della fotografia con la stessa energia ribelle e l’occhio viscerale che lo hanno reso leggenda.








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